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Immagine del redattoreDott.ssa Marta Falaguasta

“Mio figlio non dorme!”: come aiutare i bambini a dormire

Aggiornamento: 8 mar 2023

“Mio figlio non dorme, ha scambiato il giorno per la notte e così non dorme più nessuno!” Queste e tante altre simili sono le affermazioni di tanti genitori di figli più o meno piccoli che lamentano di non riuscire più a dormire a causa dei continui risvegli o peggio ancora di notti passate completamente in bianco. Ma perché capita che i bambini non dormano o siano soggetti a continui risvegli durante la notte? Per rispondere a questa domanda credo che necessariamente bisogna interrogarsi prima su cosa sia il sonno e le fasi che lo accompagnano. Proprio come respirare o nutrirsi, il sonno rappresenta una nostra esigenza fisiologica senza la quale non potremmo sopravvivere. Il sonno dei bambini quindi è una necessità proprio come per un adulto, ma il sonno infantile è qualitativamente e quantitativamente diverso da quello degli adulti. La fisiologia del sonno di un bambino ha caratteristiche diverse dal sonno adulto: i frequenti risvegli notturni, che in genere si ripetono più o meno fino all’età di 4 anni, altro non sono che il naturale risultato di una diversa struttura fisiologica del sonno infantile in cui le fasi REM (quelle in cui si sogna e il sonno è più leggero) sono predominanti rispetto alle fasi non REM (o di sonno profondo). Da un punto di vista fisiologico quindi l’attività onirica infantile presenta queste caratteristiche. Credo però che fatte queste premesse di carattere scientifico sia necessario ora considerare l’argomento partendo invece dalle nostre aspettative culturali. Viviamo in una società che condiziona le nostre scelte rispetto alla nostra genitorialità a partire direi proprio su come comportarci di notte con i nostri figli, impedendoci in molti casi addirittura la possibilità di una scelta, visto che la maggior parte degli ospedali separa fin dalle prime ore di vita madre e bambino non favorendo così il naturale legame di contatto che dovrebbe esserci da subito facilitando in tal modo anche l’addormentamento del neonato. Si pensa erroneamente purtroppo anche a causa di alcuni manuali in circolazione, che il bambino debba imparare fin da subito a dormire da solo, che non debba essere allattato di notte, che non lo si debba tenere fra le braccia per dormire altrimenti prende il vizio e che debba acquisire il prima possibile l’autonomia e l’indipendenza. Nessuna di queste affermazioni trova un riscontro scientifico o antropologico, queste pratiche educative notturne non servono per la sopravvivenza, ribadisco che è normale e fisiologico che un bambino almeno fino ai quattro anni d’età abbia dei risvegli notturni. I neonati e i bambini hanno innate tutte le competenze necessarie per imparare spontaneamente ritmi di sonno e veglia... il genitore dal canto suo deve accompagnare serenamente il proprio bambino verso questo atto di crescita. In pratica come? Offrendogli amore, protezione attraverso il contatto anche durante la notte poiché di questo il bambino ha bisogno, se si risveglia a causa di un brutto sogno o per una semplice richiesta di latte. O altro è il conforto del genitore l’unica cosa che vuole...e se la sua esigenza viene soddisfatta attraverso l’abbraccio della mamma e del papà si abbandonerà naturalmente al sonno perché non può farne a meno. In molte culture è assolutamente normale che un bambino dorma con il proprio genitore senza conseguenze patologiche di nessun genere e senza rischi di non renderlo indipendente e sono spesso proprio queste culture ad avere figli più sereni ed anche più autonomi. Rispondere prontamente ai bisogni dei nostri figli anche di notte costituisce la base per la loro autostima e per la fiducia negli altri anche in età adulta. “Figli divorziati”: vissuti affettivi ed emotivi dei genitori e dei figli nella separazione. Siamo arrivati al capolinea! Non ne posso più...ma come si fa con i figli? Generalmente sono queste le domande che i genitori in procinto di separarsi si pongono quando pensano al futuro e molto spesso passa molto tempo prima di arrivare ad una decisione definitiva non tanto perché si prova a ricostruire qualcosa, quanto perché non si sa davvero cosa sia meglio soprattutto quando poi si hanno dei figli. Il timore più grande per un genitore è far soffrire i propri figli a causa della separazione e questo chiaramente è comprensibile. Paura, ansia e preoccupazione sono sicuramente dei denominatori comuni durante una separazione sia per i genitori che per i figli ma se adeguatamente affrontate possono trasformarsi in risorse per continuare comunque a far andar bene le cose. Di fronte ad una coppia in procinto di separarsi o già separata, il mio punto di partenza per un lavoro proficuo ed efficace è racchiuso in una semplice ma non banale frase: “si smette di essere una coppia ma non di essere dei genitori” e l’obiettivo finale quindi è proprio quello del buon funzionamento della coppia genitoriale. Si resta responsabili comunque della crescita dei bambini anche quando non ci si sente più legati all’altro genitore o addirittura ne siamo diventati avversari. Prima durante o dopo una separazione vi è tanta sofferenza, a vari e diversi livelli, per tutti i protagonisti della vicenda: genitori e figli. E tutti hanno il diritto di esprimere questo disagio o quanto meno di essere ascoltati. Al di là dei motivi per cui ci si separa e di chi sia stato a prendere la decisione, sia i genitori che i figli soffrono; successivamente devono poi abituarsi ad una nuova tipologia di vita fatta di ambienti e ritmi diversi. Il primo messaggio che deve arrivare ai figli è che non sono loro i capri espiatori, che non ci si è separati a causa loro e che è stato fatto ogni sforzo per tenere in piedi l’unione. La comunicazione e il dialogo con i figli, già importante a prescindere da una separazione, risulta ancora più indispensabile a seguito di questo evento perché hanno bisogno di avere risposte, conferme in un momento in cui le loro certezze sembrano vacillare; se non pongono domande rispettiamo il loro silenzio facendo loro comunque sentire la nostra vicinanza. La sofferenza va elaborata prima dai genitori e poi dai figli altrimenti si rischia di star vicino a loro carichi di tutte quelle emozioni proprie di una separazione: paura, rabbia, livore, rancore e quant’altro e questo chiaramente nuoce alla salute emotiva dei figli. Per rassicurare e dare conforto è necessario che per primo il genitore abbia rassicurato e confortato sé stesso altrimenti si crea un circolo vizioso in cui chi dovrebbe trasmettere serenità è colui che invece costantemente non fa che alimentare sofferenza. Per arrivarci è necessario però affrontare un percorso psicoterapeutico vissuto come spazio di conoscenza e consapevolezza di ciò che non ha funzionato nel rapporto e di comprensione delle proprie responsabilità. La “strada” da percorrere è spesso tortuosa e faticosa ma capace di restituire integrità e completezza alla persona. Solo dopo aver fatto questo “viaggio” generalmente si è pervasi poi da un senso di benessere e leggerezza, che si ha finalmente il diritto di rivendicare e il piacere di provare. E finalmente ci si sente capaci di trasmettere il benessere ritrovato ai propri figli!

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